V6A, il codice postale di un’altra dimensione umana

Di Anna Ciampolini Foschi

Molti anni fa, quando ero appena arrivata a Vancouver, fui incaricata di fare da interprete in un processo penale che riguardava un cittadino italiano.
Il procedimento giudiziario si svolgeva presso la Provincial Criminal Court situata al 222 Main Street, nel cuore di quella parte della città che veniva allora impietosamente chiamata Skid Road. Scesa dall’autobus, stavo cercando di orientarmi in quella zona per me sconosciuta quando vidi uscire un uomo anziano dal portone di un alberguccio vecchio e malandato. L’uomo barcollava, era sciatto e smunto. Vestiva abiti lisi, la manica della giacca era sporca di vomito e aveva i pantaloni sbottonati. Ma quello che non ho mai dimenticato era il suo sguardo. I suoi occhi di un celeste slavato erano due vuote finestre spalancate sul nulla. Io ricordavo di aver visto, da bambina negli anni del dopoguerra, i mendicanti seduti sui marciapiedi di Firenze in muta attesa della carità dei passanti. Alcuni erano mutilati, chi senza un braccio chi con le gambe amputate. Erano vestiti di stracci. Eppure, nei loro occhi c’era ancora una dignità dolente, una umanità non spenta che faticavo a intravvedere in quel povero vecchio alcolizzato. Oggi quel quartiere, ribattezzato Downtown Eastside e indicato dal codice postale V6A, sigla che costituisce il titolo del documentario girato in loco da Ruggero Romano, si è ancora di piú esteso, fino a diventare una piccola città dentro la città, popolata da gente al limite della sopravvivenza, che della strada ha fatto la propria casa rimediata alla meglio con sacchi a pelo, contenitori di cibo e quant’altro possa servire a una vita randagia. Non una zona turistica e nemmeno una zona piacevole da attraversare, perché è difficile sopportare la coscienza che a poca distanza dai grattacieli e i ristoranti di lusso di Downtown ci siano persone con piaghe e ulcere aperte, scosse da tremiti irrefrenabili, sfigurate da chissà quali e quante brutali esperienze. Eppure fra queste persone emarginate e spesso portatrici di disturbi mentali o minate dall’abuso di sostanze stupefacenti, esiste una cultura, una forma di solidarietà. Nel documentario “V6A” di Ruggero Romano, dai personaggi intervistati ricorre infatti l’affermazione “Siamo una comunità, siamo solidali” e la visione di un mondo dove esiste una forma di libertà sconosciuta a chi appartiene alla comunità dei “colletti bianchi.” Questa libertà , come dice uno degli intervistati, per loro è perfino piú importante della vita stessa.
V6A è stato presentato agli inizi di gennaio in due serate all’Italian Film festival che hanno fatto registrare il tutto esaurito. Per questo è stato deciso di offrire altre 4 proiezioni presso Vancity Theatre di Vancouver a partire da sabato 2 febbraio. Il regista, Ruggero Romano, è un ragazzo di 22 anni nato a Torino che si è trasferito a Vancouver nel 2016. Viene da una famiglia che coltiva fortemente interessi artistici e curiosità verso i tanti volti della realtà. Appassionato giramondo, col suo zaino ha viaggiato per I quattro continenti. Si è stabilito nella Chinatow di Vancouver e come si può vedere dalla sua website www.ruggeroromano.com, si occupa di cinema, fotografie e conduce il suo radio show ogni giovedÌ a Coop Radio: “Room Tone The Radio Show”.
Diplomato alla Vancouver Film School, l’idea del documentario gli venne suggerita da un periodo di volontariato effettuato al Carnegie Community Centre all’ angolo di Main and Hastings. Come lui stesso spiega, non si sentiva soddisfatto di quella che considera la vacuità e l’atmosfera superficiale e un poco snob di questa città. L’incontro con le storie e le quotidiane lotte affrontate dalla popolazione di Downtown Eastside fu per lui la rivelazione del vero volto e della vera anima di Vancouver. Nei 67 minuti del documentario, Romano ha raccolto una serie di conversazioni con alcuni residenti del DES. Quasi tutti parlano pochissimo delle ragioni che li hanno portati a vivere quello stile di vita. Offrono invece il loro punto di vista sui problemi della società, su ingiustizie sociali, su questioni etiche e filosofiche, certo non come le esporrebbe in modo articolato e coerente un esperto o un docente, ma lo fanno con convinzione e sincerità. La vita nel DES è un soggetto ancora parzialmente inesplorato e, a detta dei residenti, non tutti I documentari o le inchieste finora pubblicati hanno Saputo rendere una immagine equilibrata di quella comunità. Sembra che “V6A” sia riuscito invece a dare una voce piú autentica alle esistenze e ai sentimenti dei resident DES.
La proiezione del documentario a Vancity Theatre, oltre a essere corredata da un periodo di domande e risposte, viene completata dalla esposizione della mostra fotografica/poetica “Vancouver: City of Contrasts. Breaking Down the Fourth Wall” creata nel 2016 dal fotografo Jon Guido Bertelli e dal poeta e scrittore Diego Bastianutti. Cito dal mio articolo del settembre 2016 apparso sul Marcopolo (ehi, roba modesta ma è roba mia, mica sono famosa come certi scrittori in Italia per permettermi di plagiare!) “… la mostra racconta queste storie di esistenze spezzate, storie di emarginazione, di infanzia passata fra abusi e violenze, di improvvise e irrimediabili cacciate dal paradiso precario della società normale, dove ci si alza al mattino per andare al lavoro e si torna a casa a rilassarsi. Bastianutti e Bertelli non si sono limitati a sfiorare la superficie del profondo pozzo di angoscia umana, a fare qualche scatto e qualche passeggiata per prenderne coscienza.
Si sono immersi in quella realtà, parlando con la gente, diventandone amici, ascoltando i loro racconti, dividendo il cappuccino o il piccolo lusso di un hamburger, restituendo a ognuno la propria umanità, la dignità ferita del proprio percorso di vita e scoprendo che si può anche imparare, da queste persone relegate ai margini, la lezione della resilienza, della solidarietà, dell’ amicizia.”

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