di Vicky Paci
In questi giorni di quarantena abbiamo piu’ tempo per navigare nel web magari alla ricerca di qualche notizia da riportare a nostri lettori di Vancouver: ed allora eccola li’ ci balza agli occhi la lettera di Italo La Torre, figlio di Paolo La Torre, professore di latino e greco a Roma il quale avrebbe voluto chiamare il figlio Italo Libero Garibaldi ma il sacerdote che doveva battezzarlo si rifiutò di mettergli quel nome e nel sacramento gli impose quello del suo padrino, Michele. Per tutti pero’ il ragazzo fu Italo che allora trentenne, sopravvisuto alla spagnola (la terribile influenza che tra il 1918 ed il 1920 provocò solo in Italia 400mila vittime) scrisse all’amata sorella Adele. La missiva e’ stata riportata alla luce da Il Corriere della Sera. Molte le analogie con il Covid19 la pandemia che oggi sta flagellando il mondo tant’e’ che la lettera sembra scritta oggi invece che il 3 novembre 1918 ed il quadro e’ piu’ che mai attuale: l’Italia messa in ginocchio da un’epidemia con sintomi quasi analoghi. “Carissima Adele, inizia la lettera, io e mammà siamo scampati per molto poco alla morte e siamo restati sofferenti”, e dettagliatamente “Il 9 o il 10 mi ammalai e presto mi aggravai. Papà corse dal medico e per fortuna, dati i tempi, ne trovò uno mediocre e carico di lavoro. Dopo due giorni, io cominciavo a vaneggiare, e povero papà alla mamma disse che pregava perché fosse sacrificata la sua vita invece che la mia. In casa nostra nessuno, nessun amico, solo il portinaio cominciò a comprarci qualche medicina, sempre con ritardo. Il giorno dopo papà era preso da tosse violenta e febbre, dopo qualche ora anche mammà aveva la febbre a 39…”. In questo specchio lontano ci riconosciamo nella quotidianita’ di oggi, “intanto papà peggiorava, non parlava più ed aveva un affanno, quasi un rantolo. Dopo tre giorni si fece il funerale, tristissimo, senza accompagno, poiché non si poteva prevedere l’ora e perché mi avevano detto proibiti gli accompagni… dopo sette giorni io malfermo sulle gambe dovetti andare al Verano e avere lo strazio di cercare fra 40 o 50 feretri ammonticchiati quello da me adorato”. È una scena che qualche mese fa potevamo solo immaginare ma che oggi rivediamo in tutto il suo straziante epilogo: basta accendere la tv per assistere al dramma che stanno vivendo le famiglie delle persone decedute con il Covid19 e, mentre finiva la Prima guerra mondiale, iniziava un’altra guerra, quella combattuta da tante famiglie italiane contro il morbo così simile al nostro un secolo dopo. La quarantena che oggi mal sopportiamo era già imposta allora dalla paura ed in solitudine intervallata dalla compassione di qualche anima buona “Il medico ordinò a tutti noi iniezioni di olio canforato, prosegue La Torre, e si trovò un infermiere che venisse a farle di tanto in tanto. Io ebbi la forza di scrivere un biglietto ad una signora mia amica, che per fortuna disinteressatamente venne con suo pericolo di vita, e per parecchi giorni e parecchie notti è stata al mio capezzale facendo anche qualche cosa per papà”. E l’amore della famiglia che c’e’ sempre “La mattina del 13 io mi sentivo presso alla fine, avevo dei periodi di coma in cui desideravo la morte e incrociavo le mani, quando di tratto in tratto avevo un risveglio di soprassalto con un colpo al cuore e chiedevo un cucchiaio di caffeina che per un minuto mi dava il senso della vita. In un momento di crisi essendovi stato un allarme per me, il mio povero adorabile papà ebbe la forza sovrumana di levarsi dal letto e venire avanti al mio, non potette dirmi una parola, né fare un gesto, ma le lagrime agli occhi erano eloquenti. Lo riaccompagnarono a letto e non si mosse più, non chiedeva ne voleva nulla”. Ora e’ cambiato lo scenario ma lo strazio delle famiglie e’ identico: quello che vivono coloro che vedono scomparire i loro cari dietro le porte di una terapia intensiva non sapendo se li riabbracceranno. Come riporta Il Corriere della Sera “Il rantolo era divenuto continuo e forte ed io dalla stanza a lato lo sentivo e mi opprimeva nel mio vaneggiamento il cuore ed il cervello. Mammà stava al suo fianco a letto, ma più in sentimento gli domandò: Ti senti male? Egli accennò solo di sì con la testa. Quel giorno il tempo fu orribile, diluviava, ed il medico non venne; ha detto dopo di essersi sentito male, ma non lo credo… Verso le 8 l’infelice ebbe un breve grido soffocato, destandosi dal letargo della notte, ed il rantolo cessò: l’avevamo perduto per sempre. Mammà venne trascinata da me e fu molto forte, perché temeva molto per me. Io la sera avevo riacquistato la lucidità, e potetti dare le disposizioni per il funerale; ma quale disastro! Quei ladri lasciarono l’infelice salma per più di 48 ore senza una cassa, con noi sempre gravi vicino”. Infine, la rinascita, “Intanto sappi che ora (proprio ora) mi hanno nominato ufficiale di sussistenza (non combattente) e ho messo la divisa. Il povero papà non ha potuto avere questa consolazione, né avere quell’altra di sentire l’attuale grande vittoria e la pace, che tanto lo avrebbero rallegrato. Qui l’epidemia pare in diminuzione; ora, 100 decessi al giorno: al culmine erano 200”. Nelle ultime righe di Italo alla sorella il ritorno alla normalità, “Mandaci tue notizie di tanto in tanto anche con cartolina; come farò io; e consoliamoci se almeno la nostra salute non sarà minacciata, avendo tutti dei doveri reciproci di mantenerci in salute. Intanto abbraccio te e Nino e bacio le bambine”.